Non c'era nulla da fare, e se ne rodeva.
Si erano odiati per secoli qui, e sempre si odieranno, fra queste stesse case, davanti agli stessi sassi bianchi del Basento e alle stesse grotte di Irsina. Oggi erano tutti fascisti, si sa. Ma questo non voleva dir nulla. Prima erano nittiani o salandrini, e risalendo nel tempo, giolittiani o antigiolittiani, della Destra o della Sinistra, per i briganti o contro i briganti, borbonici o liberali, e prima ancora, chissà. Ma questa era la vera origine: c'erano i galantuomini e c'erano i briganti, i figli dei galantuomini e i figli dei briganti. Il fascismo non aveva cambiato le cose. Anzi, prima, con i partiti, la gente per bene poteva stare tutta da una parte, sotto una bandiera particolare, e distinguersi dagli altri e lottare sotto una veste politica. Ora non ci resta che le lettere anonime, e le pressioni e le corruzioni in Prefettura. Perchè nel fascismo ci stanno tutti. -Io, vede, sono di una famiglia di liberali. I miei bisnonni sono stati in prigione, sotto i Borboni. Ma il segretario del fascio, sa chi è? E' il figlio di un brigante. Proprio il figlio di un brigante. E tutti gli altri che gli tengono bordone, e che adesso comandano il paese, sono tutti della stessa risma. E a Matera è la stessa cosa. Il consigliere nazionale N., di qui, è di una famiglia che teneva mano ai briganti. Anche il barone di Collefusco, il padrone di tutte le terre qui attorno, il proprietario del palazzo sulla piazza, chi è? Lui sta a Napoli, si sa, e da queste parti non ci viene mai. Non lo conosce? I baroni di Collefusco sono stati, di nascosto, i veri capi del brigantaggio, nel '60, da queste parti. Erano loro che li pagavano, che li armavano.
[...] La lotta dei signori tra loro non ha nulla a che fare con una "vendetta" tramandata di padre in figlio; nè si tratta di una lotta politica reale, fra conservatori e progressisti, anche quando, per caso, prende quest'ultima forma. Naturalmente ciascuno dei due partiti accusa l'altro dei peggiori delitti. [...] La verità è che questa continua guerra dei signori si trova, nelle stesse forme, in tutti i paesi della Lucania. La piccola borghesia non ha mezzi sufficienti per vivere col decoro necessario, per fare la vita del galantuomo. Tutti i giovani di qualche valore, e quelli appena capaci di fare la propria strada, lasciano il paese. I più avventurati vanno in America, come i cafoni; gli altri a Napoli o a Roma; e in paese non tornano più. In paese ci restano invece gli scarti, coloro che non sanno far nulla, i difettosi nel corpo, gli inetti, gli oziosi: la noia e l'avidità li rendono malvagi. Questa classe degenerata deve, per vivere (i piccoli poderi non rendono quasi nulla), poter dominare i contadini, e assicurarsi, in paese, i posti remunerati di maestro, di farmacista, di prete, di maresciallo dei carabinieri, e così via. E' dunque questione di vita o di morte avere personalmente in mano il potere; essere noi o i nostri parenti o i nostri compari ai posti di comando. Di qui la lotta continua per arraffare il potere tanto necessario e desiderato, e toglierlo agli altri; lotta che la ristrettezza dell'ambiente, l'ozio, l'associarsi di motivi privati o politici rende continua e feroce. Ogni giorno partono da tutti i paesi di Lucania lettere anonime alla Prefettura. E la Prefettura non ne è malcontenta, anche se affetta il contrario. -A Matera fanno finta di voler appianare le nostre liti...Ma in verità fanno il possibile per fomentarle. Hanno istruzioni in questo senso da Roma. Così tengono in mano tutti, con la minaccia o la speranza. Ma che abbiamo da sperare?- e qui il gesto caratteristico della mano, che vuol dire: niente.
-Qui non si può vivere. Bisogna andarsene.
(Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli)