

"Nel Gennaio 1968 un terremoto distrusse alcuni villaggi della povera e travagliata valle del Belice, nella Sicilia nordoccindentale. Oltre 500 persone morirono e 70 mila rimasero senza tetto. Giuseppe Saragat, allora presidente della Repubblica, promise immediatamente che il governo avrebbe fatto tutto il possibile per aiutare la gente privata della casa dal terremoto. Il Parlamento stanziò fondi rilevanti per la ricostruzione del Belice. Nove anni dopo, 60 mila persone della valle vivevano ancora nelle baracche prefabbricate erette subito dopo il terremoto. Erano state costruite grandiose e surreali strutture: strade che non portavano in alcun posto, cavalcavia usati solo da greggi di pecore, passaggi pedonali per pedoni inesistenti; ma nel frattempo non una delle nuove case promesse agli abitanti dei villaggi era stata consegnata. Gli ingenti fondi stanziati dal governo non vennero spesi, o furono malamente sprecati, o finirono di nascosto nelle tasche di qualche privato.
Nel dicembre 1975, don Antonio Riboldi, parroco di Santa Ninfa nel Belice, organizzò l'invio di 700 lettere da parte dei bambini delle scuole elementari del Belice a senatori e deputati del Parlamento. Vale la pena di riprodurne una, inviata da Giovanna Bellafiore a Giulio Andreotti, seguita dalla risposta dell'onorevole. Questa corrispondenza, a conclusione del capitolo, viene citata non a titolo di accusa personale nei confronti di Andreotti, ma come esempio dell'inerzia e dell'incapacità dello Stato. [...]
Santa ninfa, 16 febbraio 1976
Caro on. Andreotti Giulio,
io sono Giovanna Bellafiore, la bambina che le ha scritto per Natale, ma lei non mi ha risposto, questa è una cosa ingiusta. Io vivo in una baracca di 24m quadrati ed è solo una stanza. Ci piove sul letto, sull'armadio e sui piatti messi ad asciugare. Forse non mi ha risposto perchè il problema è scottante. La prego di interessarsi di noi, cosa che finora non ha fatto nessun onorevole. La luce nelle baracche manca spesso e così anche l'acqua. Voi onorevoli abitate in una casa comoda con riscaldamento e non potete capire la vita che conduciamo noi baraccati, dove manca lo spazio per ogni ogni cosa per studiare, per giocare e anche per le sedie per sedersi a tavola. Lei lo sa che io per mangiare a tavola mi siedo sul letto di papà e mamma? Infatti il tavolo è quasi attaccato al letto. Se lei non crede alla mia lettera La invito per una settimana a casa mia a pranzo e a dormire.
Perchè non si interessa nessuno per noi terremotati? La prego di non buttare via questa mia lettera perchè aspetto finalmente una sua risposta e la prego di discuterne in Parlamento con gli altri onorevoli.
La saluto
Giovanna Bellafiore
Roma, 26 febbraio 1976
Cara bambina,
ho ricevuto la tua letterina del 16 febbraio, mentre non ho mai avuto quella che mi dici avermi scritto per Natale. La vicenda del Belice è purtroppo una dolorosa e non facilmente spiegabile procedura amministrativa. I fondi per la ricostruzione furono stanziati prontamente. Tre anni più tardi venne una delegazione a Roma ed aprendemmo che vi erano difficoltà di piani regolatori e di altri aspetti urbanistici. Nel 1972 quando ero presidente del consiglio radunai i sindaci del Belice e feci adottare tutte le misure che chiedevano.
So che in questi giorni un gruppo di studenti di S.Ninfa è stato a Roma ed ha potuto spiegare alle massime autorità la situazione. Mi auguro che si arrivi alla soluzione. Ma forse è bene che tu chieda al Sindaco di scrivermi se c'è qualcosa che io, come ministro o come deputato, possa fare in proposito. Condivido la tua pena per il disagio di una sistemazione che avrebbe dovuto essere provvisoria.
Con i miei saluti ti invio una bambola. I miei figli sono ormai grandi e comprare un giocattolo per te mi fa tornare indietro con gli anni.
Aff.mo Giulio Andreotti".
Tratto da P. GINSBORG, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, Torino, Einaudi, 2006, p.466-468.