lunedì 23 febbraio 2009

Tempi Moderni




Ieri sera, dopo un'intensa giornata di studio, ho visto questo capolavoro di Charlie Chaplin,
Tempi Moderni (1936) ...In alcune parti, mi son ritrovata a ridere da sola, come una stupida, mentre altre mi hanno quasi commossa. Chaplin è tremendamente espressivo, sono i suoi occhi, il suo corpo, i suoi gesti a parlare, quasi non ci si accorge di guardare un film muto. Adorabile!
Gli anni sono quelli della recessione, della chiusura delle fabbriche...In America la grande depressione intristiva e impoveriva la popolazione e l'economia mentre in Europa già tiravano venti di guerra. Quella di Charlot è una visione innocente, come quella di un "bambino" che non si trattiene dal denunciare pubblicamente le assurdità e contraddizioni del mondo, la durezza e le ingiustizie della società moderna...
Simbolo di quell'alienazione umana provocata dall'avvento della società industriale e capitalista, Chaplin fu espulso dagli Stati Uniti al grido di "cane rosso" condividendo lo stesso trattamento riservato al grande Ejzenstejn messo alla porta dalla parte più nera di Hollywood, da quell'America antisemita e reazionaria in quanto "assassino e brigante bolscevico", "grave minaccia per gli Stati Uniti"...
Il fim è sensazionale, un'opera d'arte!

Per il mio prossimo esame dovrò vedere anche Metropolis di Fritz lang (1926), Gandhi di Richard Attemborough (1982) e Freud, passioni segrete di Jhon Huston (1962) mentre ho già visto Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci.

Stanca e sognante, ho bevuto il mio infuso di camomilla, miele e vaniglia (stenderebbe anche un elefante!) e sono letteralmente crollata.

Questa mattina appena sveglia, mentre gustavo il mio caffè, ho saputo inaspettatamente i risultati dell'esame scritto di Spagnolo ed è andato bene!
Quale miglior modo d'iniziare la giornata?!
Penso proprio che passerò questo pomeriggio a prendermi cura di me. Ne sento proprio il bisogno.
Leggerò qualcosa, ascolterò un pò di musica ed andrò in palestra...

Il tutto con molta calma.

Ora scappo che altrimenti resto a digiuno!

Un bacio a tutti!

p.s. si sente che sono contenta eh!? :D

lunedì 16 febbraio 2009

A coloro che verranno


Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l'ha saputa ancora.

Quali tempi sono questi, quando
discorrere d'alberi è quasi un delitto,
perchè su troppe stragi comporta silenzio!
E l'uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell'affanno?

È vero: ancora mi guadagno da vivere.
Ma, credetemi, è appena un caso. Nulla
di quel che fo m'autorizza a sfamarmi.
Per caso mi risparmiano. (Basta che il vento giri,
e sono perduto).

"Mangia e bevi!", mi dicono: "E sii contento di averne".
Ma come posso io mangiare e bere, quando
quel che mangio, a chi ha fame lo strappo, e
manca a chi ha sete il mio bicchiere d'acqua?
Eppure mangio e bevo.

Vorrei anche essere un saggio.
Nei libri antichi è scritta la saggezza:
lasciar le contese del mondo e il tempo breve
senza tema trascorrere.
Spogliarsi di violenza,
render bene per male,
non soddisfare i desideri, anzi
dimenticarli, dicono, è saggezza.
Tutto questo io non posso:
davvero, vivo in tempi bui!

Nelle città venni al tempo del disordine,
quando la fame regnava.
Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte,
e mi ribellai insieme a loro.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.

Il mio pane, lo mangiai tra le battaglie.
Per dormire mi stesi in mezzo agli assassini.
Feci all'amore senza badarci
e la natura la guardai con impazienza.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.

Al mio tempo le strade si perdevano nella palude.
La parola mi tradiva al carnefice.
Poco era in mio potere. Ma i potenti
posavano più sicuri senza di me; o lo speravo.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.

Le forze erano misere. La meta
era molto remota.
La si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me
quasi inattingibile.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.

Voi che sarete emersi dai gorghi
dove fummo travolti
pensate
quando parlate delle nostre debolezze
anche ai tempi bui
cui voi siete scampati.

Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c'era, e nessuna rivolta.

Eppure lo sappiamo:
anche l'odio contro la bassezza
stravolge il viso.
Anche l'ira per l'ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si potè essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuta l'ora
che all'uomo un aiuto sia l'uomo,
pensate a noi
con indulgenza.

Bertold Brecht

domenica 8 febbraio 2009

...



Miei cari, perdonate l'assenza...
In questi giorni ho avuto mille cose da fare e poco tempo da dedicare a me stessa ed a questo bell'angoletto. Sono stata a Napoli per un esame scritto, speriamo sia andato bene (soprattutto spero di avere i risultati prima dell'anno prossimo!) e presto dovrò farne un altro.
Per quel che mi riguarda, non ho molto di nuovo da raccontarvi. Sento soltanto di dover esprimere il mio profondo disgusto per gli ultimi avvenimenti che attanagliano il nostro "bel Paese". Per com'è stato trattato e strumentalizzato il caso di Eluana Englaro, sia da parte della nostra vergognosa classe politica, sia dalla tv...E per la "povera" Chiesa cattolica, che regna sovrana e che continua a calpestare diritti, sentimenti e dignità, affermando la propria dottrina (a mio avviso caratterizzata da un inspiegabile masochismo, altro che cultura della vita!) ed il proprio potere a tutti i costi. Tutto questo
in uno Stato incoerente, che definisce la laicità come suo "principio supremo" soltanto nelle parole e non nei fatti. In un Paese dove stanno perdendo colpi, giorno dopo giorno, i principi di quella Costituzione ispirata all'Antifascismo, alla Democrazia, per la quale tanti hanno combattuto immolando la propria vita, sento di dover fare qualcosa, nel mio piccolo, per poter salvaguardare "il ruolo storico svolto dalla lotta partigiana mediante la promozione di ricerche e testimonianze, la difesa dal vilipendio e dal revisionismo, il sostegno ideale ed etico dei "valori di libertà e democrazia" alla base della Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 nata dalla Resistenza!"...Questi gli obiettivi dell' A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) alla quale ho aderito anch'io, da poco, tesserandomi.
Come diceva Pier Paolo Pasolini "La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratico-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c'è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline". Dobbiamo tener duro e stringere i denti in questa situazione avvilente, non possiamo e non dobbiamo darci per vinti...Abbiamo il diritto ed il dovere di continuare a far sentire la nostra voce!

Spero di riuscire ad essere più presente in questo spazio nei prossimi giorni...
Un caro saluto a tutti voi!

p.s. dimenticavo...Nel pacco speditomi da
Michele la scorsa settimana ho trovato il libro di Carlo Bonini, A.C.A.B. (All Cops Are Bastards) che muoio dalla voglia di leggere. Lo farò non appena sarò un pò più libera...Il libro parla di Michelangelo, "Drago" e "lo Sciatto", "tre celerini bastardi", cresciuti nel culto della destra fascista, che si scoprono disillusi al termine di una parabola di violenza che è la loro "educazione sentimentale". La narrazione di Bonini svela, attraverso l'occhio ed il linguaggio degli "sbirri" ed una lunga inchiesta sul campo, la trama occulta dei più sconcertanti episodi di violenza urbana accaduti in Italia negli ultimi due anni. Collega episodi accaduti in tempi e luoghi diversi come l'assalto militare degli ultras ad una caserma di Roma e la caccia al romeno nelle periferie, i Cpt per immigrati clandestini e gli scontri della discarica di Pianura. La catena dell'odio e delle impunità...

A presto!

domenica 1 febbraio 2009

Cantore, poeta, sciamano


"Si è spento il sole” e comincia la notte, nella notte ci muoviamo e soffriamo, cerchiamo chi ci corrisponda, chi possa darci compagnia di reazione e divita, e dal protettivo rifugio della notte rifiutiamo i sentimenti ricattatori, consci che speranze non sussistono, che non ci sarà un risveglio, che se risveglio dovesse esserci presenterà uno scenario di bruttezza, di rovina, di orrore.
I concerti-spettacolo meno recenti di Vinicio Capossela, tutti di approssimata regia e di grandissima suggestione, attorno a un cantante-attore che sa istintivamente fare teatro e riempire la scena, facevano sfilare costellazioni e stelle sullo schermo-fondale, uno schermo contro il quale il lunare pierrot Vinicio cantava la sua malinconia e la sua (dolce) disperazione muovendosi con la goffaggine di un bambino e con la cautela di un gatto. Il "paesaggio" sonoro e visivo era un no land che, nonostante ipunti fermi e saldi degli strumenti muscali, dell'amico pianoforte e dei compagni di squadra era tuttavia - ed è ancora- una waste land. Dolce, tranquilla disperazione. Anzi saudade alla brasiliana perchè più che l'angoscia del presente e del futuro l'ispirazione e il funambolismo di Capossela ci sembrava mossa da una ben nota (una volta la chiamavano crepuscolare) nostalgia di non si sa cosa, di cui era possibile però intuire alcune componenti e una soprattutto, la nostalgia di uno ieri contadino quando il sole splendeva, quando la comunità esisteva.
Nostalgia di provincia, di ordine della natura e delle cose, di radicamento, di un passato che non si è avuto. Il Sud, il villaggio, la terra, prima dell'emigrazione e dell'esperienza definitiva del "senza casa", e l'illusione che nella notte, tra grida di animali e andar di nuvole e di stelle, qualcosa di quello ieri si potesse ancora incontrare. Esilità e delicatezza dei momenti felici, tristezza dei distacchi e delle lontananze e via via, in un crescendo che diventa euforia, era come se, evocate dalla dolcezza di un canto solitario, di un lamento non lagnoso, dalle tristi ballate fatte di versi sussurrati e sgangherati, la saudade coinvolgesse altri mondi, che recuperasse i richiami di molti ieri e di molti altrove, e filastrocche ossessive e scatenamenti campestri da dopo-fatica, da festa paesana, da balera, da circo e da aia, soprattutto da aia.
Lo stordimento era allora una reazione alla saudade, una fuga dal presente e l'infantile bisogno di intontirsi, per spostarsi e allontanarsi da qui anche se non si sa più dove andare. Recuperi folclorici, lunatiche variazioni sui ricordi del noto, ma anche perlustrazioni del dimenticato, citazioni su citazoni, piccoli plagi ora pudichi e ora spudorati, omaggi su omaggi: ricerca di fratellanze. Ma più vagheggiate che attuate, e più con i morti o i lontani che con i vivi o i vicini. Il nostro grande venerato e amato dagli happy few ma anche al contatto diretto un pò insopportabile Matteo Salvatore! L'amarezza delusa e gridata di Vysotskij e quella spavalda di Tom Waits! Il più festaiolo Louis Prima e il più riminese Fellini! Buscaglione e Conte! Il jazz Prokof'ev! Nino Taranto e Freak Antoni! L'altro Vinicius e Gilberto Gil! Cuco Sanchez e le dimenticate divine del bolero! Kurt Weill e Bregović-Kusturica! Insomma: l'aia, il circo, la balera. Il sabato del villaggio e della città, ma anche la domenica, la festa: la messa, la banda, il gelato e il calcinculo! L'amore infelice, l'amore fuggitivo, l'amore sperato! E naturalmente su altre note Charlot, che aveva esordito sulle scene con l'assai notturno e complicato ritorno a casa dell'ubriaco a cui, forse senza saperlo, Capossela ha reso più volte un omaggio delicato e affettuoso: da un ritorno negato all'altro. L'Eden dell'infanzia, la nostra casa - inutile cercarla, ma come si fa a non cercarla? - non c'è più, e allora: dove mai puoi "tornare"? Mi piacerebbe che Capossela potesse vedere, prima o poi, il film di Nicholas Ray Il temerario (con Robert Mitchum, 1952) dove c'è, ha scritto Wim Wenders dicendo il vero, il più bel "ritorno a casa" della storia del cinema: un ritorno impossibile.
In questa dimensione plurima e vagante le cantilene di Capossela si esasperano e si fanno dionisiache, ma poi torna la notte a chiudersi sul nostro pupazzo di cera ancora afflitto da cuore e sentimenti , e così estraneo alla volgarità, così perdente-cosciente, protetto da una così commuovente e adolescente grazia impacciata e maldestra e ovviamnete da Euterpe, e accompagnato ovviamente dai suoi emblemi e dalle sue voci, dai suoi "monacielli", la Chitarra di Sax la Fisarmonica il Contrabasso...La ricerca della nostra complicità (il pubblico) come unica comunicazione- consolazione possibile si esplicita in un colloquio ahi quanto fragile che finirà all'alba, con lo spuntare del sole, buttandoci fuori dallo spazio magico che il piccolo sciamano sradicato di un'eterna migrazione ha evocato per trascinarci nel suo cerchio a condividere la sua solitudine e malinconia...
Contro ogni birignao da cantautore...E contro ogni compiacenza da seduttore televisivo o "repubblicano" Vinicio Capossela è il triste maschio senz'amore del nostro tempo prefinale, il mite retore dei nostri più intimi disagi, il poeta libero e approssimato, il musicista dei cnto motivati riporti, l'adulto convinto che "l'illusione è il lusso della gioventù", ma che non ce la fa ad invecchiare e a smettere di illudersi. E continua, nella notte, a cercare mani amiche che col sole rifiuta, perchè solo della notte si può fidare e solo nella notte può stare, luogo degli stordimentie di quelle dimenticanze artificiali che sembra prediligere.
Egli ha saputo sempre trovare qualche nota che era anche nostra e di ogni migrante senza più casa, pure quando vorrebbe trovarne e cantarne ben altre, e ci rappresenta e ci canta, imperfetto irresoluto rompibile fugace snervato, e ci accompagna nella interminabile notte in cui molti di noi non vorrebbero trovarsi e da cui ci risveglierà un sole malato e crudele, sbattendoci in faccia tutta la violennza di una realtà insopportabile. La "nuttata" non passerà più.


Ho detto degli spettacoli e dischi del Capossela di ieri, quello delle Canzoni a manovella e di Modì, musicista irrequieto e curioso, poeta ora euforico e ora dolente, attore scoordinato e spontaneo, esploratore insaziabile delle proprie possibilità e di zone dimenticate o, per la nostra tradizione, inedite. E quello di oggi?
Parlando del Capossela di ieri mi è sfuggito il sostantivo "sciamano", che è quello che sembra più contraddistinguere il Capossela di oggi. Cosa è cambiato in lui, cosa troviamo di diverso in Ovunque proteggi? Troviamo che si sono andati precisando in un processo di maturazione artistica raffinatissimo il sincretismo musicale, il sincretismo culturale che lo hanno caratterizzato sin dagli esordi - dentro una logica postmoderna non finta e citazionistica, ma autentica e piagata quanto quelle di scrittori come Siti o Lagioia e di registi come Olmi e Garrone, non commerciale e libresca, modaiola e frigida come in tanti altri inseguitori della più superficiale attualità. ma troviamo anche un altro elemento che ha preso fiato che ha dilagato: il sincretismo religioso.
Ho incontrato di recente per le vie di Napoli un musicista che ammiro, benchè molto ideologico e di conseguenza con un sospetto di opportunismo nella ricerca di un pubblico "di sinistra" (perchè questo pubbllico, inetto sulla lunga durata politica, vuole essere compiaciuto nella sua doppiezza morale e vuole che gli si cantino le rivoluzioni di ieri e di altrove mentre invece difende con costante conformismo comportamentale il suo benesssere e ei suoi privilegi di qui e di adesso) e gli ho detto di aver ascoltato da poco il bel disco ultimo di Vinicio. Mi ha risposto sdegnato che, da quando Vinicio si è messo anche lui a misticheggiare, gli interessa più poco. E' un'opinione che ho sentito più volte a proposito del Vinicio recente, e che mi pare confonda in uno stesso calderone la stupidità new age dei consolati e confortati e la sofferta inquietudine degli sconsolati e confortati. In sostanza, Vinicio Capossela ha "scoperto" qualcosa che tutti dovremmo ben sapere da tempo, essendo da tempo usciti, o scacciati dalla storia, dalle illusioni dette marxiste e dalla convinzione ebraico-cristiana-musulmana che l'uomo sia al centro dell'universo, una creatura privilegiata fatta da Dio a sua immagine e somiglianza...
Rispetto a Marx abbiamo dovuto, volenti o nolenti, fare dei passi indietro (indietro?) per rincontrare Darwin, anche lui usabile a destra - il darwinismo sociale - come a sinistra - la coscienza della nostra eredità e condanna animale, l'imperfezione della nostra evoluzione, il posto che occupiamo sulla terra diventanto abusivo e distruttivo della terra tutta, il ritorno alla nuda lotta per la vita e alla nuda legge del più forte...E un altro passo indietro (indietro?) abbiamo dovuto fare, volenti o nolenti rispetto a Freud, perchè dalle speranze "positiviste" di Freud abbiamo dovuto espungere le idee di una possibile guarigione. Abbiamo dovuto rileggere Jung e ripensare agli archetipi, incontrando anche in questo un uso "di destra" di Jung e uno "di sinistra", per intenderci quello dei veri pochi grandi del postmoderno cinematografico odierno, Tsai Ming Liang e Cronenberg, Lynch e Ciprì e Maresco, e quel Kaurismaki che ci sembra l'artista non italiano più "affine" nell'animo al nostro Capossela. Ma dobbiamo anche riconoscere che Marx non ha mai avuto ragione quanto oggi quando di che "tutto è economia" e Freud non ha mai avuto ragione quanto mette in guardia dalla precisa possibiliatà - che vale per il singolo e vale per la società e per l'umanità tutta, vale per l'uomo - che l'istinto di morte prevalega sull'istinto di vita. Con buona pace dell'amico napoletano, è con questi dati di fatto che tutti abbiamo dovuto o dobbiamo fare i conti. E il disagio che ne deriva - chiamiamolo semplicemente fallimento della storia e dell'uomo, del progresso e della civiltà - ci impone di ridiscutere le fondamenta delle nostre convinzioni, la loro inadeguatezza a interpretare il presente (e la paura che deriva, di un futuro incontrollabile), e di ritornare alle domande fondamentali: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.
Quel che Capossela va facendo è infine questo, porsi queste domande. In modo senza dubbio confuso, ma chi non è confuso, oggi, se non si accontenta delle menzogne correnti e se si ferma a pensare?
Il sincretismo musicale si accoppia molto bene al sincretismo religioso o filosofico, nell'opera attuale di Capossela. E l'inno alla Resurrezione del Figlio dell'Uomo, del Gioia, nel più straordinario pezzo musicale creato da un musicista italiano di oggi, credo non solo "canzonettista" o cantautore, va di pari passo, con il suo entusiasmo, con la cupa constatazione "spessottiana che siamo figli di Adamo ed Eva, che non siamo venuti dal cielo, che dall'Eden siamo stati cacciati da tempo e, nella Storia abbiamo perduto da tempo la nostra primogentura, abbiamo distrutto con le nostre stesse mani la possibilità di trovare un equilibrio con la nostra animalità, un futuro per la nostra specie che potesse essere di armonia con il contesto ambientale, animale e vegetale, e con i nostri simili diversi da noi per vicende e per contesti, per Capossela, e vuol dire non siamo Abele siamo Caino, o siamo figli di Caino - il primo assassino, ma anche il costruttore di città e dissodatore del futuro.
Il più recente spettacolo di Vinicio Capossela comincia nel fervore e nell'eccitazione, nell'ebbrezza e nell'ardore, benchè attraversati da una grande irrequietezza che sembra placarsi nella nostalgia e negli assolo della malinconia, a tu per tu con il piano, nella solitudine della voce, nell'eco dei boleri di un tempo. Poi ecco di nuovo un'euforia più malata che mai. L'io esce da se medesimo, e non si accontenta del proprio quieto soffrire, vuole ancora confrontarsi con la storia e con il mondo. Ma dando per scontata la propria sconfitta. Ma restando ostinatamente curioso- e voglioso di festa e di resurrezione.
Non è poco, per un cantautore dell'Italia 2006, così disfatta stupida corrotta, distruttiva-autodistruttiva. Forse è eccessivo e può apparire talvolta "sottoculturale" il sincretismo filosofico-religioso di Capossela. E "senza metodo". Ma a quest'anima in pena e in cammino, che ama la vita e non si arrende alla morte e che così spesso sa parlare ad altre anime in pena e in cammino che amano la vita e non si arrendono alla morte, si può perdonare, si deve perdonare molto, moltissimo.


(scritto di Goffredo Fofi, tratto da Vinicio Capossela -"Niente canzoni d'amore")

p.s. speriamo non faccia la stessa fine di Giovanni Lindo Ferretti!